Stimolazione e Gioco Basale: sentirsi e percepirsi

di Clotilde Putti dagli atti del Seminario
“Intervento Precoce: una risposta concreta all’incontro con la disabilità visiva in età evolutiva”
tenutosi il 27 ottobre 2012 presso l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Brescia

La Stimolazione Basale® , è stata creata negli anni ’70 ad opera del Prof. Andreas Fröhlich (Landstuhl, Germania), pedagogista speciale e psicologo.
Vorrei iniziare il mio intervento partendo dalla definizione che il Consiglio dell’Associazione Internazionale per la Promozione della Stimolazione Basale® ci propone:
La Stimolazione Basale è un’idea di incontro tra persone che, a livello individuale, offre possibilità e stimoli, anche in assenza di prerequisiti, nei processi dialogico-comunicativi con persone affette da gravi disabilità o a rischio di gravi disabilità, per realizzare condizioni di sviluppo che siano adatte a promuovere, mantenere o incoraggiare
– la salute e il benessere,
– l’apprendimento e la partecipazione sociale nonché
– l’autodeterminazione
delle persone coinvolte.
L’incontro tra le persone è qualitativamente significativo se conduce ad una relazione, ad uno scambio proficuo per tutti coloro ne sono coinvolti. Affinché si possa parlare di relazione è necessario accettare l’alterità dei soggetti implicati: l’altro deve essere riconosciuto come diverso da noi e al tempo stesso accreditato.
La stimolazione basale è una filosofia è un modo di pensare un’idea che ha come fulcro la persona che vive e come obiettivo il miglioramento della sua qualità di vita. L’essere umano inteso come soma e anima in una globalità imprescindibile che caratterizza l’esistenza umana tutta.
La persona disabile non è mai considerata come un individuo al quale manca qualcosa o che necessita di essere in qualche modo, passatemi il termine, riparato, ma come un individuo che vive una forma di vita diversa e proprio perché vivo è in grado di comunicare. Potremmo dire in questa prospettiva che finché c’è vita c’è comunicazione, è quindi possibile creare uno scambio dialogico!
Questo approccio sconvolge il modo tradizionale di pensare alla disabilità e, nel contempo, fornisce le basi per restituire dignità e autorevolezza all’essere umano indipendentemente dalla sua capacità di produrre. Si stabilisce così in maniera inequivocabile il diritto all’autodeterminazione e ad uno spazio per l’espressione di sé.
Risulta necessario intendersi sul significato di comunicazione e indagare le diverse modalità che ogni essere umano possiede per comunicare.
Esistono infatti diverse forme di espressione che l’uomo è capace di usare: il linguaggio, la mimica, la gestualità, il linguaggio non verbale e co-verbale fanno tutti parte del nostro modo di raccontarci.
la persona gravemente disabile comunica attraverso il proprio corpo con modalità e intensità peculiari per ogni soggetto. Ciò significa che possiede la capacità di raccontarsi e di esprimere se stesso anche se in forme differenti. La volontà di relazionarsi ad una persona disabile si fonda sul desiderio di volerla conoscere e comprendere osservando i suoi segnali comunicativi, aprendosi all’ascolto e avendo un sincero interesse a stabilire una relazione paritaria. Per fare ciò il nostro impegno deve essere dedicato all’attenta rilevazione di quelli che, nella comunicazione “normale”, sono erroneamente ritenuti dei dettagli.
Questo significa per esempio osservare la differenza nel respiro in concomitanza ad una situazione o ad una proposta, o per esempio rispondere ad un sorriso in occasione di un suono gradito riproponendolo nuovamente.
Una risposta adeguata e chiara fornirà alla persona disabile l’opportunità di prendere coscienza del proprio potere espressivo e vivrà un’esperienza di apprendimento positivo in caso contrario la persona smetterà di mandare segnali. (Frolich)
Ovviamente non si può trattare di una mera registrazione del come la persona comunica alla quale far conseguire una risposta meccanica e stereotipata. Non si può ridurre la comunicazione ad uno sterile meccanismo di azione e reazione, altrimenti negheremmo la possibilità di una relazione. Questo significa che la nostra osservazione deve rivolgersi anche verso noi stessi, alla nostra modalità comunicativa per saper raccogliere le risposte dell’individuo e favorire l’evoluzione di una comunicazione a spirale aperta.
L’adeguatezza dell’azione e della disponibilità da parte dell’operatore, consentono una trasmissione corretta dei messaggi ed un abbandono fiducioso da parte dell’altro con cui si intraprende la relazione.
Frolich dice: La sicurezza si può scoprire solo dal momento in cui eventi specifici e ben distinti continuano a ripetersi; ciò permette di capire gradualmente che questi continueranno a ripetersi in futuro …. In questo contesto la persona disabile inizia a costruire un vissuto di sicurezza, ottiene pian piano la certezza “che le sue attività vengono percepite, osservate, comprese e corrisposte”.
Sin dalla vita intrauterina l’uomo fa esperienza di movimento. Noi stessi oggi qui, costretti a star seduti ad ascoltare, e consapevoli che ne avremo per un po’ continuiamo a muoverci: accavallando una gamba, passandoci una mano tra i capelli, guardandoci intorno con la speranza che qualche stimolo ravvivi la nostra attenzione. Non c’è vita senza movimento!
Spesso la persona gravemente disabile non esperisce una mobilità propria ne può semplicemente in maniera autonoma variare la propria posizione. La staticità corporea conduce alla condizione, che nella stimolazione basale, viene definita “nebbia sensoriale”.
Vale a dire una condizione di dispercezione del se corporeo e di generale disorientamento. In questa condizione il confine del proprio corpo, la lunghezza e il limite tra l’”io” e il “non io” si perdono in un tutt’uno informe.
Stabilire una comunicazione è necessario in primis per saper interpretare la necessità dell’altro come per esempio quella di variare la propria posizione corporea. La stabilità e il benessere del corpo sono gli elementi fondamentali (che insieme alla sicurezza comunicativa) fondano la struttura di una relazione fiduciosa che permette alla persona di aprirsi al mondo.
Inoltre vivere il proprio corpo nelle diverse posture significa percepire in maniera differente se stessi, ma anche il mondo. Basti pensare per esempio alla differenza che c’è tra ascoltare una persona che ci parla facendo caso alla nostra posizione, ad esempio stando distesi supini piuttosto che ascoltare la stessa persona seduti su di una sedia alla sua stessa altezza, il semplice riposare sul fianco oppure proni ci fa respirare in modo differente.
La percezione di se stessi non solo si acquisisce con l’esperienza personale, ma si impara dagli altri. Cioè cogliendo se stessi in relazione.
Generalmente le persone con gravi disabilità sono oggetto di manipolazione, subiscono cioè la mobilitazione del proprio corpo in base alle prassi di accudimento quotidiano. Alcune procedure restano giustamente standardizzate per garantire un ritmo costante che può però non essere uguale per tutti e che sicuramente può variare in relazione ad altre necessità.
Quindi possiamo dire che l’incontro con la persona disabile non può prescindere dalla sensibilità umana dell’operatore e si fonda sull’interesse sincero di conoscere l’altro.
Solo in tale contesto si potrà stabilire una comunicazione adeguata che permetta al soggetto di maturare e consolidare la consapevolezza di essere partner attivo nell’evento relazionale.
Da quanto detto finora si desume l’importanza di individualizzare la proposta.
Le proposte della stimolazione basale sono diverse, ma a questo punto appare necessario chiarire cosa si intende con la parola stimolazione e cosa col termine basale.
Le proposte basali non consistono in una somministrazione pedissequa di stimoli metodologicamente standardizzata, ma rappresentano un invito a sentire il proprio corpo, conoscere oggetti e persone. Costituiscono la base per possibili attività che devono essere selezionate, nei modi e nei tempi, nel rispetto di ogni singola persona.
Il termine “basale” si riferisce alle basi della capacità comunicativa, basi della percezione,basi del movimento, basi dell’attenzione e dell’apprendimento, dove non dobbiamo aspettarci abilità o conoscenze.
“La semplice presenza fisica e vitale è quanto serve per poter accedere al processo di scambio basale” (Fröhlich 2006, 402).
Le proposte della stimolazione basale fanno riferimento ai vissuti primordiali che ogni essere umano ha esperito nella vita intrauterina. Queste valgono anche per la persona disabile. Il feto è competente, sente i movimenti della madre e si muove ed è a questo che possiamo ricollegarci
Le 3 aree di percezione sulle quali si orientano le proposte basali sono la somatica, vestibolare, vibratoria.
Noi continuiamo a fare esperienze analoghe sempre, per esempio alzandoci dal letto la mattina viviamo una stimolazione vestibolare, camminando semplicemente viviamo una stimolazione vibratoria, abbracciando la persona che amiamo viviamo una stimolazione somatica.
Ma laddove non vi è la possibilità di una mobilità propria si realizza un impoverimento di tali esperienze definite elementari nella stimolazione basale e necessarie all’uomo.
Le proposte possono essere ad esempio il contatto della pelle con materiale di varia consistenza, il dondolare così come dondolavamo nella pancia della mamma quando si chinava oppure la vibrazione che come il battito del cuore risuona dentro di noi.
La Stimolazione Basale porta al centro dell’attenzione le possibilità che il corpo umano offre. Si tratta quindi di un approccio orientato al fisico. Perché è il corpo che ci apre „un accesso individuale […], quando, apparentemente, ogni relazione comunicativa e intellettuale si è interrotta“ (Fröhlich 2003, 10).
Ho parlato di interventi individualizzati che tengano presente della soggettività della persona. In termini pratici si traduce nella valutazione di aspetti diversi: in primis il tempo. La dimensione temporale cambia sostanzialmente, il ritmo dell’attività intesa come “proposta e attesa di una risposta” possono non coincidere con quelli che ci aspetteremmo. Le preferenze e i gusti del singolo vanno accolti per fornire ciò che realmente è favorevole alla persona e non ciò che noi riteniamo sia ad esso utile o necessario. Inoltre la storia personale e la presenza di vissuti traumatici (come le ospedalizzazioni, interventi chirurgici,…) che possono aver segnato profondamente la persona sia emotivamente che fisicamente e hanno una grande incidenza.
Il contesto di vita e le reali necessità della persona.
Alla persona disabile va garantito il diritto a dire di no, il diritto al riposo nell’alternanza tra momenti di partecipazione e momenti di non attività.
In sostanza migliorare la qualità della vita della persona attraverso il sostegno di una partecipazione attiva e l’apprendimento significa rispettare il diritto alla costruzione della propria vita secondo il volere personale.
In tal senso la nostra ricerca si concentra sulla scoperta delle motivazioni del singolo. La motivazione muove ogni nostro gesto, segna tutte le nostre scelte, giustifica l’impiego dell’energia che mettiamo in ciò che facciamo.
Ulteriore elemento fondamentale nella stimolazione basale è l’ambiente con tutto quanto di animato e non include. Un ambiente basale deve fornire uno spazio fisico utile che non sia dispersivo, l’atmosfera silenziosa adatta a favorire la percezione e organizzazione degli stimoli, garantire la reperibilità del materiale necessario. Pensiamo che generalmente il raggio d’azione delle persone con grave disabilità è limitato allo spazio personale e peripersonale quindi decisamente ristretto. Lo spazio destinato alle attività è prezioso e deve essere rassicurante e stabile nel tempo, adeguatamente stimolante. Si parla di “angolo basale”; l’angolo infatti all’interno di una stanza resta invariato e recinge per 2 lati lo spazio garantendo una protezione fisica di contenimento. Nell’intervento precoce da Lilli Nielsen è stato proposto il concetto di nicchia e chiamato “il piccolo spazio”.
Tutto quanto detto finora in che modo rientra nell’intervento precoce e nell’attività con il bambino cieco o ipovedente?
Per rispondere a questo interrogativo cito quanto scritto da Praschak che riassume il concetto di stimolazione basale e ci offre un suggerimento per rispondere alla domanda:
(PRASCHAK 1990, 9)La Stimolazione Basale è un approccio che davvero può dirsi basale, ovvero si tratta di un know-how per la promozione dello sviluppo che non richiede che il destinatario debba precedentemente compiere determinate azioni o disporre di abilità pregresse. Si tratta di un’idea che può trovare applicazione sin dalla nascita di una persona, per tutto l’arco della sua vita e indipendentemente dalla gravità delle proprie disabilità. Lo sviluppo della Stimolazione Basale ha contribuito a mettere in luce, già negli anni 70 „come la teoria fino ad allora dominante secondo cui le persone con disabilità gravissime sono incapaci di apprendimento sia del tutto errata“.
Il nostro bambino spesso entra in contatto col mondo in maniera traumatica. Eventi dolorosi e lunghe ospedalizzazioni pesano su di una breve vita che dal mondo riceve dapprima il peggio.
La disabilità visiva, anche se non associata a difficoltà aggiuntive, segna in modo peculiare la capacità e i tempi per l’organizzazione degli stimoli ambientali e personali e caratterizza ulteriormente le modalità comunicative.
La stimolazione basale vuole favorire l’interezza dello sviluppo del bambino piccolo attraverso:
vissuti corporei piacevoli e rassicuranti che diano benessere e supportino la percezione di se;
vissuti di stabilità corporea con proposte di posturazione adeguata all’età e alle necessità,
l’organizzazione degli stimoli ambientali affinché siano pian piano compresi (suoni, contatto, luce…)
attraverso l’avvio alla scoperta di quanto il mondo ha di bello da offrire attivando l’interesse nei primi giochi,
e quindi supportare il bambino nella comprensione di ciò che percepisce e del come ciò avviene con l’obiettivo di superare le ritrosie legate ad esperienze negative
e nella scoperta di ciò che ha in potere di fare attraverso il gioco basale.
il Gioco Basale quindi come prima esperienza per l’attività propria. Il gioco è la motivazione del bambino, il gioco fa parte del bambino per lui è un’attività seria attraverso la quale si esprime e sperimenta e può sperimentare ciò che lo circonda e ciò che avviene in lui.
Dapprima si tratterà di giochi causa effetto all’interno della relazione con l’operatore o con l’uso di oggetti e materiale. Il gioco si adegua via via alle acquisizioni del bambino e alle sue preferenze, ma non ha mai finalità prestazionali.
L’obiettivo principale è quello di aiutare il bambino ad ottimizzare tutte le sue risorse, fare del proprio potenziale una capacità in essere sviluppata ed integrata e una competenza a favore dell’autonomia e della libera espressione di se.
Confucio scrisse: “dimmi e dimenticherò, mostrami e forse ricorderò, coinvolgimi e comprenderò”
La disabilità fa parte della vita dell’uomo se si considera l’inesorabile e naturale perdita di abilità che il processo d invecchiamento può determinare per ognuno di noi. Il pensiero di cosa possa comportare la mancanza di autodeterminazione, la perdita di autonomia getta una mente integra in uno sconforto profondo e ad un rifiuto dell’idea stessa.
Quindi penso che cambiare il modo di guardare alla persona disabile significhi migliorare il modo in cui consideriamo la nostra vita.